La tassa sul sale e il pranzo alla SS. Annunziata offerto dai frati ai doganieri

Il sale, alimento semplice e comune, oggetto di esortazione evangelica (“siate voi il sale del mondo”), ebbe sempre un gran valore e pregio. Fu usato come moneta nelle società primitive e diventò materia privilegiata di commercio nel medioevo-età moderna, per il consumo, per la sua faticosa estrazione e reperibilità e per evitare l’inevitabile contrabbando.
Per questo gli stati di quei tempi obbligarono le famiglie – secondo il numero dei loro componenti (“bocche del sale”) – ad acquistarne un tot ripartito da una quantità maggiore già stabilita e conservata in un magazzino (“camera del sale” o “salaia”). Lo distribuirono i “salaioli”, mentre un camarlingo riscosse il prezzo prefissato dagli ufficiali della dogana.
Per gli enti pubblici tale tassa costituì la maggior fonte di reddito e fu utilizzata per i lavori di utilità comune, per saldare i debiti e per le guerre. Il Comune di Firenze vendette il sale anche ai centri soggetti del contado e distretto, esigendo di essere il solo a farlo (privativa).
Guardando all’oggi, esiste ancora l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli che si occupa di accise, di tabacchi e di altre cose, ma non più del sale, come riporta nel sito web:

“L'imposta sul sale venne abolita nel 1975 e con essa il regime monopolistico, che, da tempo, aveva perso il carattere fiscale assumendo piuttosto il significato di impegno dello stato a fornire capillarmente e a basso prezzo un bene di consumo primario”.

Ma, senza arrivare ai giorni nostri e a certe problematiche generali, che poi a ben vedere furono tali anche nel passato, leggendo questa volta i manoscritti e le Ricordanze della SS. Annunziata, sul sale si incontrano notizie più particolari e per questo curiose.
In primis si vede come l’acquisto di tale alimento e la relativa gabella fossero scritti costantemente nei libri di amministrazione fino dai tempi lontani.
Poi va detto che sebbene il sale fosse distribuito dal Comune, non bastava mai al bisogno, soprattutto in un convento frequentato da frati forestieri, dove si invitavano a pranzo personaggi e rappresentanti di istituzioni e la cucina era sempre attiva.
Prendo dal mio Vita quotidiana e storia della SS. Annunziata di Firenze nella prima metà del quattrocento (2004), un paio di note delle uscite a esemplificare quanto detto:
– agosto 1402, salina, zucche e fagioli, zucchero e zafferano per la vigilia di S. Lorenzo ...
– 20 gennaio 1407, per salina per salare il lardo ... (o il maiale).
E per quanto concerne l’imposta:
– 31 marzo 1406, imposta del sale “... el quale el comune ci à tassati per bocche quarantotto. Si paga la seconda tassa di tre staia presente il notaio ...”.
– 18 dicembre 1407, dal camarlingo delle porte per la paga di ogni anno l. 41 s. 17 d. 4 in due partite. Di questi si leva il sale “pelle bocche che siamo tassati in sei staia di sale per boche xlviii ...”.
– 1453, Il Comune ci accorda s. 10 di sale per 18 anni e che i trombetti di Palazzo suonino “alla Nunziata ogni sabato e che i priori vengano a sentir messa finito l’ufizio ...”.
Ci fu pure la prestanza nei pubblici uffici – 1413, fra Lorenzo scrivano della gabella del sale – alla quale i frati erano obbligati in quanto proprietari.

Ma la notizia trovata più insolita è contenuta in una Ricordanza inedita del 1784, concernente da una parte i soliti “abusi”, secondo la visione etica dello stato del granduca Pietro Leopoldo e della filosofia del tempo, e dall’altra parte un’interpretazione consuetudinaria di vecchie leggi.
Ovvero alla SS. Annunziata, da una data imprecisata, si pagò il sale ai doganieri tramite l’offerta di un pranzo che, per rispettare le nuove leggi, nel 1784 fu abolito ... con una certa soddisfazione – ci sembra – almeno del padre Costantino Battini che scrisse il ricordo.

Questo il testo:
“Adì detto [4 maggio 1784]
Erano diversi anni, che quando si doveva fare, l’annua, e consueta estrazione del sale per il nostro bisogno, si dava più un pranzo a nostre spese ai ministri di detto sale, che ci portavano la nostra porzione fino al convento.
Avendo però il nostro real sovrano inibito rigorosamente a cadauno de’ suoi ministri di qualunque tribunale ogni sorta di mance, e regalie, il convento si è creduto sciolto dal vincolo del suddetto pranzo, nato più da un’abusiva consuetudine, che da alcun obbligo preciso. Ma siccome ciò non ostante i mentovati ministri hanno fatto delle opposizione per la sussistenza del medesimo, allegando, che il regio divieto delle suddette mance, e regalie, non dovendo avere il suo principio, che dal primo di questo, e l’estrazione del sale dagli ultimi dello scaduto, avevano diritto di esigerlo.
Onde è stato composto l’affare col dar loro per questa volta ben lire 20, senza il pranzo”.

Paola Ircani Menichini, 13 gennaio 2024.
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